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Il sogno di una comunità

“Domani in mattinata ci aspetta una terra, legata a una storia che sembra una fiaba, che assomiglia a un sogno. Prima di raccontarla voglio vedere come va a finire. I protagonisti sono una donna d’affari che vuole cambiare vita e un gruppo di rivoluzionari che, mentre il mondo chiama l’isolamento, chiama all’unione. Chissà quale sarà il lieto-fine di questa storia, intanto ne scriviamo le pagine del libro, un passo alla volta.”.

Con queste parole ho concluso il mio penultimo articolo, che racconta di come ci siamo ritrovati a costruire una comunità con amici vecchi e nuovi, in un tempo sospeso dall’emergenza Covid.

Ora che la fine di questa storia, o comunque parte di essa, si è palesata, la posso raccontare e, attraverso la scrittura, metabolizzarla.

Parlo degli ultimi due mesi anche se, per l’intensità di quanto è avvenuto, sembra di pensare a un tempo molto più lungo.

È successo due mesi fa che il bisogno di un luogo sicuro in cui passare il periodo di quarantena ci abbia portati vicino a Odemira, nel terreno di Nadja, dei suoi figli Airyn e Lua, e del suo compagno Felipe.

Trovare un luogo meraviglioso, in mezzo alla natura, e insieme alle altre quattro famiglie con cui viaggiavamo, è stato come scoprire un piccolo paradiso. 

Saremo sempre riconoscenti e grati a Nadja della sua accoglienza e delle sue braccia aperte ad accogliere quindici persone quasi mai viste prima di quel momento.

Immediatamente ci siamo fatti travolgere dalla vita di comunità e ci siamo immersi nella sperimentazione di come ciascuno di noi si sentisse in una dimensione di collettività e di relazione continua con gli altri. 

E nel momento in cui tutti noi abbiamo esplicitato la nostra volontà a iniziare l’avventura comunitaria con un progetto più strutturato, ecco che Nadja ci fa una proposta: di prendere parte al suo sogno, alla sua visione.

Da più di un anno è in cerca di un terreno da acquistare e da condividere con altre famiglie, per costruire una comunità, una tribù; durante la sua ricerca si è imbattuta in una grande distesa collinare di 60 ettari, che sovrasta il territorio di Odemira e che da qualche tempo è in vendita, al modesto prezzo di 500.000 euro.

La bellezza e la magia del luogo hanno fatto scattare in lei il desiderio ardente che quella diventasse la base del suo sogno e, non avendo quella somma di denaro per poterlo acquistare, ha vagliato varie possibilità per arrivare al suo obiettivo, tra le quali cercare persone facoltose che investissero sulla terra e che volessero rientrare nel suo progetto di vita comunitaria. Dopo ricerche e tentativi ecco che si manifesta Preeta, una ricca donna d’affari tedesca, residente in Germania ma familiare del luogo, avendo il fratello fondatore di un eco-villaggio nello stesso distretto territoriale di Odemira.

Preeta parla al telefono con Nadja: vuole cambiare vita, imparare a vivere in un ambiente poco addomesticato circondata da persone con cui poter instaurare un rapporto di amicizia e vicinanza; è disposta per questo a investire parte del suo patrimonio per acquistare il terreno e appoggiarci nel nostro progetto, pur di farne parte e avere la possibilità di avere una base su cui contare lontano dalla frenetica vita di città.

Quando Nadja ce ne parla restiamo basiti, perplessi, tanto meravigliati quanto straniti dall’insolita proposta dell’abbiente donna alemanna. Chi è questa persona? Cosa si aspetta di trovare in una seconda vita, così diversa dalla sua ordinaria quotidianità? Quale sarà il prezzo, anche se non monetario, che toccherà a noi in questo strambo scambio?

Nadja sembra fiduciosa e dissipa ogni nostro dubbio, tranquillizzandoci sul fatto che ha già chiarito la natura del progetto e la parità, la trasparenza e l’affinità che tutti noi chiediamo per accettare la condivisione di una vita intera.

Decidiamo così di aprirci a questa possibilità, aspettando il momento in cui le sarà possibile venire in Portogallo e conoscerci.

Intanto la vita procede al terreno di Nadja. Ci catapultiamo in un mondo a parte, indietro nel tempo di una cinquantina di anni almeno: non essendoci forniture di acqua, ma solo un pozzo con capienza limitata, ogni settimana con il pick up di Nadja andiamo al fiume, dove, a secchiellate, riempiamo una tanica da mille litri, che ci servirà per uso domestico e per l’orto; Jonny recupera una vecchia lavatrice e una bicicletta rotta, e in mezza giornata costruisce una macchina lavapanni a pedali efficientissima; con delle canne di bambù ripariamo il tetto di uno dei locali del rudere del terreno, che diventa una cucina comune dove ci ritroviamo una volta a settimana a fare festa e condividere emozioni e stati d’animo; cerchiamo come possiamo di aiutare Nadja nella cura degli animali, aiutandola a pulire il pollaio, raccogliendo erba per i conigli, e sopportando le due oche che, con il passare dei giorni, diventano sempre più aggressive; organizziamo lo spazio dei bambini in modo che abbiano un luogo che possano autogestire e dove possano trovare materiale costruttivo e stimolante.

Le giornate passano e il gruppo ospite si ritrova sempre più affiatato, mentre si comincia a creare una distanza con Nadja e la sua famiglia, dettata da dinamiche confuse nei nostri confronti e poca organizzazione dei loro spazi, in cui anche noi siamo immersi. Ci accorgiamo piano piano che il vero sogno su cui vogliamo lavorare non si costruisce aspettando una ricca signora che acquisti una terra per noi, ma cercando ogni giorno un equilibrio insieme agli altri di aiuto reciproco, conoscenza e rispetto dei bisogni degli altri.

Con il passare dei giorni la differenza di vedute, di visioni e del concetto di indipendenza e sostegno tra noi e la famiglia di Nadja è lampante, ognuno di noi si accorge che non ha senso continuare ad aspettare una telefonata che da settimane ormai non arriva più: è il momento di parlare con la nostra salvatrice e dirle che non abbiamo intenzione di seguirla nel suo sogno.

In un cerchio serale di donne mi confido al gruppo ed esplicito i miei sentimenti, e lo stesso fanno le altre. Le energie cominciano a trasformarsi, le restrizioni nel paese si allentano, finalmente si può ricominciare a viaggiare all’interno del Portogallo, il gruppo inizia a pensare ai prossimi passi: vogliamo una terra.

E così usciamo, dopo due mesi in quella bellissima bolla che ci ha insegnato tanto, andiamo al mare tutti insieme, poi qualche famiglia decide di prendersi del tempo per girare la zona, e intanto le nostre menti sono all’unisono nella ricerca di un terreno per noi fisicamente ed economicamente sostenibile.

La nostra strada si dividerà da quella di Nadja, Felipe, Ayrin, Lua e i loro tanti animali, perché è giusto che ciascuno porti avanti il suo progetto di vita, anche se vuol dire scegliere una separazione. Questo non cambia i nostri sentimenti di riconoscenza e gratitudine per gli spazi e le possibilità che ha voluto condividere con noi.

Questa storia si è conclusa così, un’altra sta per cominciare, con nuove energie e maggiori consapevolezze.

5 pensieri su “Il sogno di una comunità”

  1. Grazie e in bocca al lupo per la prossima avventura. Io ho degli amici australiani che sono in Portogallo da un anno e hanno sempre creduto nella comunità. Credo che un giorno vi incontrerete e io vi raggiungerò. Un abbraccio
    Fabio

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  2. Ciao Daniela, è sempre molto interessante leggere i tuoi bellissimi racconti. Posso permettermi di chiedervi come fate a mantenervi? Immagino che se pur poche le spese, ci sono. Anch’io spesso penso e sogno a una vita simile alla vostra, ma poi mi chiedo “come farò a pagare il cibo, la benzina, spese, se pur piccole sanitarie e quant’altro?” Grazie on anticipo! Ciao

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